Buoni spesa Covid19: le buone pratiche di 10 Comuni per evitare le discriminazioni

Buoni spesa Covid19: le buone pratiche di 10 Comuni per evitare le discriminazioni
Giovedì 23 Aprile 2020 - 13:18

Su 198 Comuni con più di mille abitanti della Città metropolitana presi in considerazione da Unar, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, dieci Comuni, quasi tutti del Pinerolese, si sono distinti per aver applicato criteri per l'assegnazione dei buoni spesa non discriminatori delle categorie più vulnerabili, come cittadini stranieri e senza tetto.

 

None, Almese, Villar Perosa, Airasca, Scalenghe, Perosa Argentina, Buriasco, Villar Pellice, Porte e Pomaretto sono i Comuni segnalati dalla Città metropolitana di Torino, dove ha sede il nodo metropolitano per il contrasto alle discriminazioni di UNAR, per aver rivolto la misura a tutti.

 

«In un momento così drammatico, questi sindaci hanno lavorato per non lasciare indietro nessuno con un’azione coraggiosa ed inclusiva, un vero esempio di solidarietà» commenta il vicesindaco di Città metropolitana di Torino Marco Marocco.

 

IL PROBLEMA DELLA DISCRIMINAZIONE

La Città metropolitana spiega l'insorgere del problema della discriminazione nell'assegnazione dei cosiddetti “buoni spesa” o fondi di solidarietà alimentare, uno dei provvedimenti cardine nell'affrontare l’emergenza dettata dal coronavirus, con le sue ricadute sanitarie ed economiche.

 

«Sul nostro territorio - scrive l'ex Provincia in un comunicato - il nodo metropolitano per il contrasto alle discriminazioni di UNAR, in collaborazione con ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) e IRES Piemonte, ha verificato la presenza di criteri discriminatori nei bandi comunali per l’accesso ai buoni spesa emergenza: sono stati analizzati i bandi di 198 Comuni del nostro territorio metropolitano, quelli con popolazione residente superiore a mille abitanti».

 

L’indagine ha evidenziato luci ed ombre: la maggior parte dei Comuni del territorio metropolitano ha chiesto come criterio di accesso alla misura il possesso della residenza, escludendo in questo modo tutti i gruppi sociali più esposti a rischio di povertà quali: persone senza dimora, stranieri rom e sinti.

 

Si sono invece segnalati quindici Comuni che hanno scelto di estendere l’accesso alla misura a tutta la cittadinanza domiciliata nel territorio comunale, di cui cinque hanno ancorato l’azione all’emergenza covid19 , mentre i dieci già citati hanno precisato nel bando che la misura è rivolta ed estesa a tutti.

 

LA PREMESSA

L’ordinanza della Protezione Civile n. 658 stabilisce che i fondi di solidarietà alimentare “hanno l’obiettivo di fornire sostentamento alle esigenze primarie di persone in particolare bisogno e che devono essere indirizzati ai nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza da virus Covid-19, stabilendo che tra quelli in stato di bisogno occorrerà dare priorità ai nuclei che non beneficiano di altre forme di sostegno pubblico (RdC, Rei, Naspi, indennità di mobilità, cassa integrazione guadagni, altre forme di sostegno previste a livello locale o regionale)".

 

I Comuni e quindi i sindaci si sono così ritrovati alle prese con la possibilità di individuare i criteri di accesso al fondo e in tutto il nostro Paese si sono registrate situazioni molto diverse tra loro.

 

A livello nazionale, l’UNAR ha pubblicato linee guida specifiche, precisando come sia necessario estendere i buoni pasto a tutti i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti e a quanti, privi di titolo di soggiorno, siano costretti temporaneamente sul territorio a causa del blocco della mobilità imposto dall’emergenza. Ha segnalato come il criterio della residenza risulti discriminatorio per tutti i cittadini senza fissa dimora, qualunque sia la loro cittadinanza, al punto che vengono così esclusi proprio i soggetti più vulnerabili.

l.p.
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Paola Molino