Quando la devozione fa audience

A Cavour ma non solo

In tanti si sono recati in questi giorni a Cavour dove è giunta una statua della Madonna proveniente da Fatima. Fra pochi mesi tanti saliranno al Colle di S. Maurizio per la festa di quella che i pinerolesi chiamano la “Madonna delle Grazie”. La partecipazione alla processione del 13 maggio, nella festa della parrocchia Madonna di Fatima, è stata considerevole. Anche la sera del Corpus Domini ha coagulato tanti fedeli. E dire che negli Anni ‘60 il tema della secolarizzazione si focalizzava sul fenomeno dell'“eclisse del sacro” e non è raro sentire oggi affermare che la nostra società è postcristiana, postreligiosa.
Voler chiudere il discorso con una sola analisi sociologica o antropologica o anche teologica con conclusioni apodittiche e dogmatiche non sarebbe, a mio avviso, onesto e veritiero. Se chiedessi a ciascuno di coloro che si sono recati a Cavour «Perché sei andato?» potrei ricavare tante risposte quante sono le persone a cui mi rivolgo. Ed è giusto così, perché fino a prova contraria le persone non sono prodotte con uno stampo precostituito né clonate.
È indubbio che anche le manifestazioni religiose fanno audience, ma i motivi che hanno condotto tante persone a Cavour sono diversi e certamente una parte di esse vi ha partecipato per motivi di fede. Nel contempo fenomeni di massa, anche religiosi, non si possono comprendere con categorie unicamente religiose. Gli studi antropologici mi diranno che talvolta il ricorso a manifestazioni di religiosità popolare va inteso come un tentativo di protezione psicologica, di ricerca di sicurezza. Non è da sottovalutare poi la ricerca di un'identità perduta e frantumata nel mondo dell’anonimato. Né c’è da nascondersi che la crisi economica e sociale che stiamo attraversando spinga l’uomo a cercare quel qualcosa che l’uomo non è in grado di dare al suo simile. Siamo tanti nel mondo eppure ci si può sentire soli; ora nelle manifestazioni religiose si ritrova la presenza dell’altro accanto a te. Ma soprattutto l’uomo ha bisogno di visibilizzare il suo rapporto con Dio, perché vedere, toccare, sentire, manifestare… sono inscritti nella sua natura. Del resto Dio ci è venuto incontro nella carne del suo Figlio; Gesù s’è fatto uomo, Dio si è reso visibile e tangibile; sarebbe impensabile risponderGli solo con un assenso intellettuale o in una maniera che esprima soltanto l’elemento spirituale dell’uomo. L’uomo, ci insegna la Scrittura, è insieme spirito, carne, cuore.
A Cavour, dove tra l’altro le capacità organizzative non mancano (lo dicono le diverse feste) e dove in questi anni si è coagulata sempre più la popolazione, ci troviamo di fronte a manifestazioni di religiosità popolare, a elementi di devozione. Certo una saggia regia pastorale, con celebrazioni liturgiche, non manca e vuole aiutare le persone a interiorizzare i fenomeni esteriori. Questi fanno parte della religiosità popolare, dove l’attributo “popolare” non è da leggersi nel senso di qualcosa di banale, ma per ciò che esso veramente significa: espressione di religiosità di un popolo accanto alla liturgia “ufficiale”. Da sempre la storia della Chiesa è stata contrassegnata da questo fatto.
Accettando il rischio di una eccessiva semplificazione consideriamo che già nella Chiesa dei primi secoli vi sono forme di pietà popolare, soprattutto personali, che ampliano il contenuto misterico delle celebrazioni sacramentali; nel Medioevo, con la formalizzazione e la clericalizzazione della liturgia, e della conseguente difficoltà alla partecipazione, il popolo si ferma ad aspetti secondari del mistero e dà origine a forme celebrative più vicine al suo sentimento e la pietà diventa sul piano spirituale più importante della liturgia.
Nel 1986 Giovanni Paolo II sottolineava gli aspetti di fede imperfetta della pietà popolare, ma aggiungeva: «nella loro sostanza sono manifestazioni che esprimono il fondo dell’uomo e il riconoscimento di una dipendenza fondamentale dello stesso uomo come creatura nei riguardi del suo Creatore… In un Paese di antiche tradizioni come l’Italia, le manifestazioni religiose popolari hanno un carattere cristiano che non si può negare».
C’è una parola che è quasi scomparsa dal nostro vocabolario: è il termine “sentimento”. La religione non è solo sentimento, ma può farne a meno?
In questi giorni un amico mi ha raccontato di essere andato a Messa e di aver percepito nel prete che la presiedeva soltanto un funzionario. Poi mi confidava di aver partecipato a delle Messe presiedute da un prete anziano, talvolta un po’ disordinato, talvolta un po’ sgrammaticato nelle parole dell’omelia la cui sintassi lasciava a desiderare… ma quel prete trasmetteva la gioia di celebrare, era coinvolto in ciò che faceva e non poteva non coinvolgere i presenti. Celebrava col cuore.
Dare un po’ di spazio al sentimento, abbandonare un razionalismo che vuole spiegare tutto e avere la spiegazione di tutto ogni tanto fa bene.�

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Paola Molino