La pace difficile in un'Italia divisa

Nel 2010

L’anno "vecchio" ha lasciato in eredità all’anno "nuovo" un orizzonte internazionale dominato dalle nubi del terrorismo di matrice islamica; un’economia caratterizzata dalla ripresa delle borse - cioè dall’apparente fine della crisi finanziaria che ha sconvolto l’economia globale - ma anche dal dilagare della disoccupazione; un’Unione europea sempre più dominata dagli interessi nazionali; un’Italia divisa più che in passato, sia socialmente che territorialmente, anche se gli effetti dello Scudo fiscale permettono al Governo di dichiarare che il Pil è cresciuto del 6 per cento. Sono più le ombre che le luci, ma molti sperano di essere alla fine del tunnel.

Politicamente il sistema bipolare appare bloccato. Gli opposti schieramenti vorrebbero riprendere il cammino verso riforme condivise, cioè verso quella intesa tra destra e sinistra che il presidente Napolitano ha più volte auspicato; ma le vicende che hanno segnato la conclusione del 2009, penso soprattutto all’imprevista aggressione milanese al Presidente del Consiglio, spingono verso uno scontro politico sempre più acceso. E l’approssimarsi di elezioni regionali non favorisce certamente un attenuarsi delle polemiche.

In realtà la situazione è bloccata anche sulle candidature regionali, specie sul versante di centrosinistra. Silvio Berlusconi ha risolto i problemi più importanti per la destra cedendo alla Lega le candidature alla presidenza del Veneto e del Piemonte. La destra è in crisi in Sicilia, però a marzo questa regione non vota. Ma l’on. Bersani riuscirà a mettere insieme ciò che resta della sinistra radicale con i moderati dell’Udc, con un partito reso più forte dall’uscita di Rutelli dal Partito democratico? Lo scontro esploso in Puglia tra Vendola ed Emiliano, cioè tra i sostenitori dell’alleanza del Pd con la sinistra radicale ed i sostenitori dell’alleanza con i moderati, dimostra quanto è stretto il nodo che Bersani non è riuscito a sciogliere. Le Primarie taglieranno il nodo delle candidature, ma con quali conseguenze politiche?

Nel Pd è in discussione anche l’alleanza con Di Pietro, e la questione del giustizialismo è criticata sia dai moderati che dalla sinistra radicale. Le cose si sono messe in modo che sulle vicende giudiziarie del premier giocano le proprie carte sia Berlusconi che Di Pietro, entrambi interessati alla radicalizzazione dello scontro politico. Infatti è probabile che una parte degli elettori di sinistra, rimasti senza riferimento politico, finisca per dare un voto di protesta a Di Pietro, piuttosto di rafforzare un’alternativa riformista che è considerata inquinata da un "inciucio". Questo sospetto, che ha fatto infuriare D’Alema, è alimentato dal fatto che nel Pd la polemica congressuale non si è conclusa neppure dopo l’intesa parlamentare che ha portato Franceschini alla presidenza del gruppo parlamentare.

Neppure a destra è tutto chiaro: Fini coglie ogni occasione per marcare la distanza dalle tentazioni monarchiche di Berlusconi, con la mano tesa verso la minoranza parlamentare. Per ora queste distinzioni non sembrano indebolire il conglomerato conservatore: Berlusconi è così sicuro di uscire rafforzato dalle elezioni regionali, da rinviare a dopo il voto di marzo il confronto sulle riforme costituzionali ed elettorali. Dopo il voto di marzo, pensano i sostenitori di Berlusconi, verrà il tempo della spallata presidenzialista. Prima di marzo dovranno essere votate le riforme della giustizia che riguardano il premier, anche con il solo voto della maggioranza di Governo. E la sinistra – hanno ripetutamente dichiarato i "falchi" del Popolo delle libertà – faccia ciò che vuole, questa volta la destra non si fermerà. Questo non è certo un preannuncio di pace. In questa situazione quale effetto avrà il messaggio di fine anno che il Presidente Napolitano ha rivolto a tutti gli italiani in nome della solidarietà umana e della coesione sociale?

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Paola Molino