Protesi all'anca: tecnica mini-invasiva

All'Asl Cn1, quindici i casi già operati

SAVIGLIANO - Domani giovedì 20 maggio, al Castello Rosso di Costigliole Saluzzo, il direttore della Struttura complessa di ortopedia e traumatologia e del Dipartimento di chirurgia dell’ospedale di Savigliano, Francesco Leonardi, presenterà ai medici di medicina generale una nuova tecnica mini-invasiva di protesizzazione dell'anca per via anteriore. Un incontro per mantenere un rapporto di collaborazione con chi è il naturale trait d’union con il paziente.
Il primo intervento effettuato con la nuova tecnica interventistica mini-invasiva risale al 5 marzo scorso; ad oggi sono una quindicina i pazienti operati. Il dolore post-operatorio è pressoché inesistente, non si usano più cuscini divaricatori né vengono imposte limitazioni nel sedersi o nei movimenti. È un risultato importante, dopo una storia di 40 anni di chirurgia protesica presso il SS. Annunziata, avviata dal prof. Massè. Al prof. Francesco Leonardi, direttore della Divisione di ortopedia e traumatologia dell’ospedale di Savigliano, di cui già in passato ci siamo occupati, abbiamo posto alcune domande.
Questa è una tecnica mini-invasiva per l’impianto di una protesi di anca per via anteriore? Ci può spiegare di che si tratta?
«Da alcuni mesi impiantiamo, in casi selezionati, protesi di anca mediante una incisione di circa 7-8 cm praticata nella regione anteriore dell’anca. Questo accesso ha il vantaggio rispetto alle altre vie chirurgiche di essere intermuscolare ed internervoso. In altri termini passa tra i muscoli senza tagliarli o danneggiarli e non provoca lesioni ai nervi come è stato documentato in modo incontrovertibile dalla Risonanza magnetica. Inoltre a fine intervento si sutura anche la capsula articolare ripristinando così la fisiologica anatomia».
Quanti e quali sono i vantaggi per il paziente? «Tanti. Innanzitutto le perdite ematiche sono modeste ed il dolore post-operatorio praticamente assente. Non essendo compromessa la stabilità articolare, l’arto operato non deve essere mantenuto in una posizione fissa, il paziente può mettersi seduto senza problemi già subito dopo l’intervento e camminare senza stampelle dalla terza giornata. Infine non deve usare alza-water o rialzi per le sedie. Ma sicuramente l’aspetto più importante è che il rischio di lussazione, cioè che la testa protesica fuoriesca dalla propria sede è praticamente nullo».
Non è più necessaria la riabilitazione? «No. Il paziente, se vuole, può tornare a casa dalla 4ª-5ª giornata». In Piemonte sono molti i centri dove vengono adottate queste tecniche? «No, e noi siamo tra i primi. Peraltro questa tecnica è molto diffusa nel Nord-est d’Italia».
Quali altre novità ha adottato nella chirurgia protesica dell’anca? «L’Ortopedia è una branca chirurgica dove l’innovazione tecnologica è all’ordine del giorno. Usiamo dunque modelli protesici di ultima generazione a bassa invasività e a conservazione del collo femorale. Impiantati con tecniche mini-invasive e con l’utilizzo di un bisturi ad ultrasuoni che riduce al minimo l’insulto ai tessuti, rappresentano quanto di meglio oggi si possa avere sul mercato».
All’ospedale di Savigliano si contano circa 350 impianti di protesi d’anca all’anno, con 70 casi di reimpianto a cui vanno aggiunti 70-80 interventi di chirurgia del ginocchio (con una quarantina di revisioni) e poi interventi alla spalla e al piede e la traumatologia, senza dimenticare la correzione delle deformità rotazionali agli arti inferiori.

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Paola Molino