Ex-internati e deportati: il ricordo ancora vivido di alcuni sopravvissuti

Lucidi e commoventi i ricordi degli anni di vita militare e della prigionia dei tre superstiti di Campiglione. Adriano Favero, classe 1922, parla come se si trattasse di fatti appena accaduti: «Ero stato arruolato nel Genio e, grazie al mio diploma di geometra, ero allievo ufficiale; il 12 settembre '43, quando sono stato fatto prigioniero dai tedeschi, ero in servizio a Salentino, vicino a Bolzano. Portato in Germania, a Fallenboster nei pressi di Hannover, sono stato in un campo di lavoro a fabbricare prima accumulatori e poi cannoni fino alla liberazione, il 10 aprile 1945, quando sono arrivati gli americani. Avevo preso il tifo, per cui gli americani mi hanno dapprima portato in Belgio e poi ad un ospedale militare a Parigi, ragion per cui sono potuto rientrare in famiglia soltanto nell'ottobre 1945. A Campiglione mio padre aveva una latteria, dove ho lavorato per un po' di tempo, poi ho accettato l'impiego alla Selghis calcestruzzi di Pinerolo».

• Appassionati e spesso non senza un pizzico di polemica i ricordi di Michelangelo Gasca, classe 1921, ex-agricoltore: «Arruolato nella sussistenza della IV Armata come infermiere, di stanza prima a Torino e poi a Cambiano, potevo ritenermi fortunato; almeno fino all'aprile 1943 quando ci hanno trasferiti nel Sud della Francia, dove i tedeschi ci hanno presi prigionieri l'8 settembre. Trasportati in Germania, invece di considerarci prigionieri di guerra, cosa che ci avrebbe garantito la tutela della Croce rossa, siamo stati qualificati internati e costretti a lavorare come bestie nelle fonderie Fahr fino alla liberazione. Tante volte ci è stato chiesto di “firmare” e di schierarci con la Repubblica di Salò e Mussolini, una scelta che ci avrebbe garantito almeno un trattamento migliore e più umano, ma abbiamo sempre detto di no. Purtroppo, al rientro in Italia, questo nostro comportamento non ha trovato il giusto riconoscimento… Quando i tedeschi mi hanno preso prigioniero pesavo 80 chili, quando sono tornato a casa, a luglio '45, ne pesavo 42; per 20 mesi ho sempre indossato la stessa divisa, quella che avevo a settembre del '43».

(continua)

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Paola Molino