La storia del pastore Fulvio Benedetto e della donna che lo denunciò per stupro: oggi lei è stata condannata per calunnia
È stata scritta oggi, in Tribunale ad Asti (in foto), una nuova pagina di una vicenda incredibile, partita molti anni fa seppur con una veste completamente diversa. Una storia che ebbe un eco vastissima, non solo nel Pinerolese, iniziata nell'estate del 2011 e dipanata in due tempi principali: il primo trascinò addirittura in cella e poi in Tribunale un uomo come Fulvio Benedetto, classe '56, simbolo della pastorizia errante, notissimo non solo sulle montagne della Val Chisone (dove ha in gestione l'alpeggio del Gran Puy e in passato anche quello del Jouglar) e un suo ex garzone, Ionel Bostan (nato in Romania nel '90). Otto anni fa vennero denunciati per stupro e riduzione in schiavitù: finirono in carcere entrambi, ma il loro destino processuale fu del tutto diverso: Benedetto fu assolto in due gradi di giudizio (2 luglio 2019 in primo grado, 21 aprile 2022 in Appello), Bostan invece venne condannato a 8 anni e un mese di reclusione. Oggi ha finito di scontare la pena nel suo paese ed è libero.
Il secondo atto della storia vede gli stessi "protagonisti", ma a parti ribaltate: chi era stato dipinto come carnefice risulta essere vittima, mentre l'accusatrice, Cristina Fantu (nata a Bacau nel '79) diventa l'accusata. Lei che aveva denunciato Bendetto e Bostan dando avvio ad un autentico girone infernale, a seguito di altre indagini (questa volta condotte dalla Procura di Asti), due anni fa è stata rinviata a giudizio e chiamata sul banco degli imputati a rispondere di un reato pesante come la calunnia.
La pm astigiana Donatella Masia, titolare di questa seconda tranche dell'inchiesta, non ha mai avuto dubbi: quella denuncia per stupro e riduzione in schiavitù non aveva alcun fondamento. Non doveva neppure trovare ascolto, anche perché era stata depositata (il 1 marzo 2016) ben 5 anni dopo le presunte sevizie subite.
Detto altrimenti, Cristina Fantu si era inventata abusi sessuali e percosse mai avvenute, e pure raccontati, in un faticoso italiano, in Corte d'assise a Torino, quando l'imputato era Benedetto e lei era parte civile. Ad Asti le parti si sono invertite, in un processo iniziato il 27 settembre e concluso proprio oggi, mercoledì 10 aprile.
Per Cristina Fantu e il compagno Emanuele Cavallaro (assistiti dall'avv. William Voarino), la pm Masia aveva chiesto la condanna rispettivamente a 8 e 4 anni di reclusione. La pena decisa oggi dal Collegio presieduto dal giudice Alberto Giannone (a latere Victoria Dunn e Francesca Rosso), è stata un po' più mite: sei anni a Fantu, 3 a Cavallaro. Dovranno anche pagare le spese processuali e versare a Benedetto, parte civile con gli avv. Alberto Avidano e Chiara Pescarmona di Asti, una provvisionale immediatamente esecutiva (per una somma totale di 24mila euro) in attesa che in sede civile venga quantificato l'ammontare del risarcimento danni. Tra 90 giorni avremo le motivazioni della sentenza. Di certo, nessuno ripagherà Benedetto né, tantomeno, il giovane Bostan da tutto quanto subito in questi anni.
Vogliamo offrire un giornalismo che sia presidio di cittadinanza e di democrazia, forza trainante per il territorio, strumento per comprendere cosa succede nella nostra società e nel mondo.
Paola Molino