Il dopo Monti sarà un salto nel buio

Il Governo Monti segnerà una discontinuità nella politica italiana: dopo Monti nulla sarà come prima. Ma il voto del 2013 lascerà sia la sinistra che la destra senza strategie. Per questo motivo molti – anche tra i sacerdoti del bipolarismo - sostengono che dopo il voto del 2013 i partiti dovranno nuovamente dare vita ad una "grande coalizione" guidata da Monti, con il compito di portare a conclusione la strategia delle riforme avviata dopo le dimissioni di Berlusconi. Monti ha ripetuto di considerare conclusa la sua esperienza di premier, con la fine della legislatura, ma forse insiste su questa affermazione per ridurre le ostilità suscitate dalle riforme che ha avviato, necessarie ma impopolari. Comunque "dopo Monti" la politica dovrà fare i conti con quello che è stato definito "il montismo", e con il dilagare delle liste civiche. Tutti i partiti dovranno cambiare radicalmente i programmi di governo ed il modo di rapportarsi con l’opinione pubblica, per recuperare almeno in parte la credibilità che hanno perso negli ultimi anni. Non a caso tutti i partiti sono in difficoltà quando debbono affrontare la questione delle riforme della politica, e scegliere tra maggioritario e proporzionale. Ed è sempre più evidente che le Primarie rischiano di segnare la fine dei partiti, non la via per la loro resurrezione.
Chi vuole approfondire questa questione, che sta diventando centrale, deve riflettere su ciò che Mario Monti ha dichiarato pochi mesi dopo il ritorno dalla esperienza di commissario europeo. Prendendo spunto da alcune riflessioni fatte da Monti ho scritto su "L’Eco del Chisone" in un articolo pubblicato a fine agosto del 2005, che Monti partiva dalle preoccupazioni per le vicende finanziarie che avevano coinvolto anche il governatore della Banca d’Italia, per soffermarsi sulla crisi del sistema economico e sulla inadeguatezza del bipolarismo. Monti riteneva – già allora - che per trarre l’Italia da una vicenda che la stava spingendo ai margini dell’Europa, bisognava affrontare subito la questione della competitività, dell’economia di mercato, ed assegnare ad un grande centro la responsabilità di governare il Paese. Non si trattava di tornare al passato, poiché era ormai compito degli storici discutere le colpe ed i merito della Dc, ma di avviare una riflessione sulla realtà del Paese: la sinistra e la destra si erano dimostrate incapaci di governare e di fare le riforme, ed un bipolarismo che faceva perno su due coalizioni eterogenee, serviva per conquistare il potere ma non per governare.
Romano Prodi, che sull’onda delle elezioni regionali si preparava ad essere incoronato leader del Partito democratico (con le Primarie) ed a vincere la sfida con Berlusconi, replicò che tutti i mali del Paese dipendevano dal centro. E Silvio Berlusconi, che attribuita al suo Governo "dieci e lode", reagì delineando come soluzione alla crisi il "porcellum", la legge elettorale che sarebbe stata varata pochi mesi dopo. Su un punto Prodi e Berlusconi la pensavano allo stesso modo: ormai gli elettori hanno assorbito la cultura bipolare e non intendono tornare indietro.
Quale sarebbe stata la storia italiana, se allora – nel 2005 - si fosse ascoltato Monti? Il grande centro di Monti, non era il Terzo polo di cui oggi parlano Casini e Rutelli; ed il suo progetto non era il "liberismo" con cui polemizzò Bertinotti, che in alternativa puntava al "socialismo". Nel corso del confronto, Massimo Cacciari suggerì di rafforzare la presenza dei centristi in entrambi gli schieramenti! In realtà Monti pensava ad una politica di stampo europeo, ad una economia sociale di mercato che riconoscesse l’importanza della competitività del sistema ma anche dell’equità sociale; e criticava i limiti di un bipolarismo che stava esaltando il trasformismo e la radicalizzazione, senza garantire la governabilità. Monti pensava alla modernizzazione del Paese, ad una moderazione da coniugare con la capacità di decidere, di assumersi precise responsabilità. Fu accusato di guardare al passato, mentre stava invitando la destra e la sinistra a guardare avanti, alla crisi che minacciava il Paese e soprattutto di pensare all’avvenire dei giovani, ad un avvenire sempre più condizionato da una globalizzazione economica e finanziaria che stava rendendo urgenti le riforme della previdenza e del lavoro, e la liberalizzazione di un sistema da troppo tempo ingessato. �

Informazione al servizio della comunità e per essere comunità, da sempre questo è lo stile inconfondibile de L'Eco del Chisone: con l'emergenza Coronavirus, ora più che mai, lo sentiamo come un dovere non solo nei confronti dei nostri lettori, ma di tutti i cittadini. Perché solo insieme ce la faremo.
Paola Molino