Il coraggio di scegliere

Dal palazzo degli Acaja alla Bochard di Pinerolo

Vincolare un edificio, sia esso pubblico o privato, ha il nobile scopo di non distruggere monumenti ed opere architettoniche che diversamente non testimonierebbero più la storia di una città o comunque di realtà locali.
Fin qui tutto fila liscio. Ma il problema viene dopo: se per salvare un edificio che rischia di crollare (o quasi) come il Palazzo detto dei Principi d'Acaja occorrono svariati milioni, come può comportarsi un Comune? Sposando la tesi della totale inalienabilità del bene immobile senza tuttavia dare soluzioni concrete e limitandosi ai pronuciamenti verbali? Oppure tentare di salvare il salvabile con un'operazione di compromesso?
Se ne è parlato dieci giorni fa a Pinerolo ed è riemersa una proposta dell'ex-assessore Zanoni, come già abbiamo riferito una settimana fa su queste colonne de "L'Eco". Cosa aveva prospettato la Zanoni? Vendere una parte e con il ricavato ristrutturare la parte nobile dell'edificio.
Proposta caduta nel nulla. Allora che cosa accadrà oggi? Non fare scelte concrete - tranne che all'orizzonte compaia il benefattore di turno - significa rischiare un crollo parziale dell'edificio o spendere altri soldi semplicemente per tamponare una situazione difficile.
La questione del palazzo degli Acaia, sia chiaro, è solo un esempio, ma il più attuale ed il più lampante. E viene il dubbio che i vincoli troppo… vincolanti qualche volta facciano più male che bene. Sempre che non ci siano soluzioni realisticamente percorribili e tempestivamente realizzabili.
C'è un altro caso che riguarda Pinerolo: la caserma Bochard di viale Cavalieri d'Italia, abbandonata da anni e "vittima", suo malgrado, di vandalismi.
Il demanio militare prima voleva mettere in vendita questa caserma che risale a circa 100 anni fa, poi sono emerse contrastanti norme interpretative sul cosiddetto "federalismo demaniale". Di fatto si escluderebbero dalle alienazioni gli immobili sottoposti al vincolo dei beni demaniali. E la caserma Bochard è in quell'elenco.
Quindi? Meglio lasciare in completo stato di abbandono un'area su cui insistono edifici per migliaia di metri quadrati, che provvedere alla loro alienazione e successivo recupero? Ma se non riusciamo neppure a salvare la millenaria storia di Pompei!
Scadiamo proprio nel ridicolo: il buon senso direbbe che occorre fare scelte ragionate, commisurate anche alle reali possibilità economiche senza distruggere le testimonianze storiche. Scegliendo tuttavia quelle che si reputano più qualificanti per la storia di un territorio e della comunità.

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Paola Molino