Chi può guidare il terzo polo?

La crisi politica

Se ci riferiamo all’orientamento politico degli italiani, quale risulta dall’auto-collocazione lungo un asse che va da destra verso sinistra passando per il centro, notiamo che gli elettori si collocano per circa il 40 per cento nell’area intermedia. Sono cioè potenziali elettori dei partiti di centro. Al tempo della Prima Repubblica, questo era il punto di forza della Dc, "partito di centro che guarda a sinistra". A sinistra in quegli anni era egemone il Pci, con quasi il 30 per cento dei voti, mentre sulla destra – che a fatica poteva sfiorare il 10 per cento dei voti - si collocavano gli eredi del fascismo. Se invece ci riferiamo ai partiti presenti nel parlamento della Seconda Repubblica, la distribuzione dei voti deve fare i conti con un sistema elettorale che penalizza i partiti che si riferisco all’area di centro. Sull’onda del referendum, il sistema maggioritario si è posto l’obiettivo di semplificare gli schieramenti e di fondare la vita parlamentare su due grandi coalizioni, di destra e di sinistra. Il bipolarismo ha spinto ognuna di questa forze a cercare il consenso necessario per vincere nell’area intermedia, lasciata a disposizione della potenziale crescita dei due opposti schieramenti.
Tuttavia questa polarizzazione, combinandosi con la personalizzazione della politica, ha finito col favorire una frammentazione della rappresentanza. Così i partiti di minore dimensione hanno acquistato il potere di condizionare le scelte dei partiti maggiori: la Lega ha condizionato Berlusconi, Di Pietro ha condizionato il Partito democratico. E questa contraddizione ha finito per favorire il dilagare di un trasformismo che è all’origine della crisi del bipolarismo. Ma il trasformismo ha poi spinto l’astensionismo ad oltre il 30 per cento, ed infine al riproporsi del centro come riferimento necessario per chi vuole evitare un salto nel buio.
Tuttavia l’area di centro, per passare dall’essere "area elettorale" ad essere gruppo parlamentare, deve diventare "soggetto politico", deve cioè darsi un'organizzazione, un progetto ed una strategia. E questo nodo non è stato ancora sciolto. La Dc non avrebbe governato l’Italia per mezzo secolo senza un orientamento ed una politica delle alleanze; e le alleanze - che sono state il punto di forza del centrismo al tempo della proporzionale - non si possono ridurre alla tattica dei "due forni". D’altra parte al tempo del maggioritario, sia Prodi che Berlusconi per vincere le elezioni hanno dovuto mettere in campo coalizioni eterogenee, ma poi – quando si è trattato di governare – non lo hanno potuto fare.
La questione che si sta imponendo, dopo la dissoluzione della coalizione di centrodestra, va discussa con riferimento alla realtà italiana di una fase della vita nazionale caratterizzata dalla crisi del berlusconismo, ma anche dalla difficoltà del Pd a darsi una identità politica davvero alternativa al blocco dei conservatori. In questo contesto, la legge maggioritaria in vigore rende impossibile un'uscita dalla palude, poiché con elezioni regolate dal "porcellum", la crisi si aggraverebbe ed il Palazzo cadrebbe in balia della piazza. Ma la responsabilità della crisi non va assegnata solo al sistema elettorale; conta anche la tendenza a fare dipendere la politica dall’immagine del leader, conta l’avere aumentato la distanza tra la gente e le istituzioni democratiche; e questa riflessione vale anche per chi si propone di rimettere in campo una forza di centro.
Chi può guidare oggi un terzo polo e renderlo capace di ottenere almeno il 15 per cento dei consensi, chi può proporsi l’obiettivo di conquistare la maggioranza relativa dei voti? In realtà l’elenco di chi ha questa ambizione comprende ormai l’Unione di centro di Casini e l’Alleanza per l’Italia di Rutelli, i futuristi di Fini e l’ipotesi di lista civica nazionale di Montezemolo. Ma l’ambizione ed il disagio non bastano a fare una politica. Non tutti questi leader pensano allo stesso progetto, e resta comunque incerta la direzione di marcia che vorrebbero imboccare.
Non a caso alcuni commentatori sostengono che la maggioranza di governo si regge soprattutto sulla  incertezza dell’opposizione parlamentare, e che il Pd – perno dell’opposizione - affida il suo futuro di maggioranza alle scelte dell’area intermedia, dipende cioè da come saranno sciolti i nodi che condizionano l’area intermedia, il partito che non c’è. Ed intanto l’euro trema, e con l’euro trema l’Italia.

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Paola Molino