Consumare altro suolo o riutilizzare l'esistente?

L'espansione edilizia

I Comuni, le associazioni ambientaliste e di categoria alla domanda: «Consumare altro suolo per l'espansione di città e paesi?», danno spesso risposte differenti. Da una parte gli ambientalisti - penso ad esempio a Pro Natura in merito al centro commerciale di Nichelino o alla Coldiretti - dicono no «al devastante consumo di suolo libero e di aree agricole». Per contro i Comuni tendono a favorire nuovi insediamenti per rispondere ad una (molto ipotetica) richiesta di abitazioni e fare cassa con gli oneri a cui sono stati abituati per tanti anni. Oneri che - come già abbiamo sottolineato più di una volta - sono puramente teorici. Perché a fronte di incassi più o meno immediati corrisponderà negli anni un impegno di spesa per dotare i nuovi quartieri di infrastrutture e servizi.
Né si può pensare ad un blocco generalizzato dell'espansione con una finalità che può apparire nobile: non rovinare il suolo che non sarà mai più recuperabile. Addio altrimenti anche a nuove infrastrutture necessarie per lo sviluppo del territorio. Mi riferisco ad esempio all'autostrada Torino-Pinerolo ed è indubbio che se l'avessimo avuta dieci anni prima la storia di Pinerolo - penso allo sviluppo in anni in cui c'era realmente sviluppo - oggi sarebbe diversa.
Certo, è una scelta difficile quella degli amministratori. Che spesso sono stati ondivaghi. Da una parte hanno permesso lo sviluppo a macchia d'olio, per poi rimangiarsi in parte scelte precedenti. Ad esempio è proprio quello che è accaduto per i progettati nuovi edifici residenziali sotto Monte Oliveto a Pinerolo. Tutto nell'ottica delle disposizioni del Piano regolatore ma con una valutazione critica, a posteriori, per l'impatto ambientale.
Si possono correggere errori ma con regole chiare e trasparenti. Valga per tutti e per sempre. Se poi c'è da revisionare un Piano regolatore che permette o nega certi interventi, va fatto rapidamente. La salvaguardia del suolo e dell'ambiente è una priorità, non un optional.
Ciò che manca oggi - da Pinerolo a Nichelino, da Volvera a Barge solo per citare alcuni Comuni - è la ricerca documentata di siti industriali o parzialmente residenziali pressoché o totalmente dismessi o sottoutilizzati. È in questi siti che si potrebbero rilocalizzare attività residenziali o commerciali senza inutili ed impattanti depauperamenti di aree verdi.
Ma occorre concordare anche strumenti operativi, non soltanto affermazioni di principio. Ad esempio Chiabrando, presidente della Coldiretti, scrive che in provincia di Torino ci sono «oltre cinque milioni di metri quadrati di aree industriali già dismesse e oltre sette milioni di mq definite "critiche", in cui la situazione congiunturale potrebbe accelerare in parte o del tutto la dismissione». Bene, se esistono questi dati occorre fare un inventario dettagliato, capire in che Comuni insistono aree disponibili per un loro diverso utilizzo, ma capire anche la loro appetibilità per dare una "casa" a chi propone interventi nel campo della grande distribuzione o in genere per attività commerciali, manifatturiere e residenziali. A condizione che i Comuni possano poi recepire queste aree ed inserirle nei loro strumenti urbanistici.
In definitiva si tratta ora di rispondere compiutamente a questa domanda: dove sono queste aree e che destinazione possono avere?

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Paola Molino