Laureati e diplomati nei settori sbagliati

La situazione economica e la disoccupazione giovanile

Si leggono molto spesso in questi ultimi tempi notizie e dichiarazioni, riguardanti lo stato dell’economia  italiana, che suonano contraddittorie. Nella sostanza sembra che il periodo di crisi sia terminato e si stia riprendendo, sia pure lentamente, il cammino dello sviluppo ma, al tempo stesso, si constata che il numero dei disoccupati continua ad aumentare. Secondo le ultime stime il tasso di disoccupazione al termine dell’anno registrerebbe un 8,7 per cento, quasi un punto in più del 2009, circa 200 mila persone disoccupate in più.
Naturalmente economisti ed esperti cercano di indicare le strade per migliorare la situazione che, sotto il profilo sociale, resta preoccupante. Per ridurre la disoccupazione il suggerimento più ovvio è quello di favorire la ripresa delle produzioni industriali, agricole e del terziario, ad alto valore aggiunto. Cosa significa? Il valore aggiunto sinteticamente è rappresentato dalla differenza tra il valore dei beni e servizi realizzati, ed il valore dei beni e servizi impiegati per produrli. La parte più consistente ed interessante dal punto di vista sociale di questa differenza è rappresentata dall'apporto della mano d'opera sia manuale che intellettuale, cui si aggiunge ovviamente il contributo dell'organizzazione produttiva compreso l'utile dell'azienda. Quindi più alto è il contenuto di lavoro di un determinato prodotto o servizio, maggiore è la possibilità di ridurre la disoccupazione.
Ora, con la sola eccezione dell'artigianato e dell'industria locali, di manutenzione e/o di produzione, che non possono essere delocalizzati perché devono lavorare sul posto, tipico esempio l'edilizia, le produzioni che richiedono un'alta intensità di lavoro subiscono la forte e, per ora insormontabile, concorrenza dei Paesi asiatici e del Sud America dove il costo della mano d'opera è molto minore. Occorre allora fare un salto di qualità e sviluppare quelle produzioni e quei servizi che richiedono un importante contributo di tecnologie avanzate, che abbiano una grossa componente di ricerca, in una parola prodotti e servizi fortemente innovativi. Si tratta di prodotti certamente non a buon mercato ma che non possono essere realizzati altrove per difetto di competenze e che diventano concorrenziali, non in funzione del prezzo, ma per l'elevato livello di prestazioni che sono in grado di offrire e per l'alta qualità che deve essere percepita dal cliente. Queste produzioni o servizi richiedono anche un forte impegno di capitali, perché vengono utilizzate tecnologie particolarmente sofisticate, che giustificano l'impiego di personale ad alta specializzazione.
I problemi italiani sembrano essere di due tipi. Le statistiche dimostrano che l'Italia ha un basso numero di laureati, per cui non si riesce a coprire le esigenze dei settori più avanzati. I disoccupati giovani sono molti, il 28,6 per cento, comprendente una quota significativa di disoccupazione intellettuale. Ciò significa che abbiamo dei laureati e diplomati nei settori sbagliati e mancano quelli dove esiste la domanda. Troppi laureati in Scienze umanistiche, troppo pochi in materie tecniche, ma anche troppo pochi operai specializzati.
Il secondo elemento di difficoltà è determinato dalla dimensione delle nostre imprese, che raramente raggiunge il livello necessario per avere un'organizzazione autonoma su scala mondiale, in grado di competere singolarmente sui mercati internazionali. Di qui l'esigenza di favorire le aggregazioni di aziende complementari in consorzi o associazioni. Lo scopo è quello di affrontare la sfida della concorrenza e di intensificare l'azione degli uffici dell'Istituto del commercio estero, degli uffici commerciali delle Ambasciate italiane e delle delegazioni delle più importanti Banche italiane all'estero, al fine di incrementare le esportazioni. Infine si tratta di pubblicizzare il marchio "Italia" come garanzia di innovazione, di sicurezza e di qualità, in modo che il mercato riconosca, anche in termini di prezzo, il maggior valore del prodotto italiano.

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Paola Molino