La testimonianza: «Ha sparato ai miei cani da distanza ravvicinata. È sconvolgente»
«Non avevo mai vissuto un atto violento, inatteso in prima persona. È chiaramente sconvolgente per me e per la famiglia. Non pensavamo di provare un dolore così forte per i cani. Equiparabile alla perdita di una persona. Fino a oggi non lo avrei mai detto».
Maurizio Barale, il proprietario dei due giovani cani uccisi a fucilate sabato mattina sulle montagne di Perrero, in Alta Val Germanasca, è ancora sconvolto. L'orario era tra le 9,30 e le 10 del mattino: «Lo so perché è quando esce il sole da noi a Villasecca Superiore», ricorda l'uomo, gestore del rifugio Lago Verde di Prali con la moglie Angela Meloni. «Avevamo deciso di fare una passeggiata nei boschi, come ogni giorno».
Tutto è avvenuto molto in fretta. I due cani dovevano essere al massimo 15 o 20 metri davanti a lui. «Tra l'altro eravamo in un bosco di mia proprietà, lungo il sentiero che sale nel vallone di Bovile verso San Martino e Comba Crosa. Passeggiamo sempre tranquillamente, Argo e Fiamma avevano tre anni, erano cani di 17 chili, non aggressivi, ben voluti da tutti. Sono cresciuti tra le persone al rifugio e non hanno mai avuto problemi con nessuno, nemmeno con i cacciatori con cani».
«DUE SPARI IMPROVVISI»
Quando erano ormai a circa cinque minuti da casa, improvvisamente, Barale ha sentito due colpi di carabina molto forti, ravvicinati. Poi il guaito di Fiamma: «La caccia al cervo è aperta. Il mio primo pensiero è stato che avessero colpito qualcosa e che i cani gli stessero andando dietro, mi sono preoccupato di questo. Poi ho visto quell'uomo con il fucile a tracolla e un giubbotto fluorescente che scappava di corsa, una trentina di metri davanti a me. L'ho rincorso, sapevo di poterlo prendere perché corro in montagna. Man mano che correvo i guaiti si spegnevano e ho realizzato che i miei cani erano stati colpiti».
Questione di istanti. Lo raggiunge, gli intima di fermarsi, gli chiede perché stesse correndo e perché avesse sparato. «Mi ha risposto che correva dai compagni che stavano cacciando il cervo. Ha detto che a sparare non era stato lui, ma c'era solo lui. Ho avvertito chiaramente la polvere da sparo mentre ne attraversavo la nuvola. Lui ha detto qualcosa come "guarda che ci sono i lupi, poveri cagnotti". Allora gli ho detto "se hai sparato ai miei cani sei in un mare di guai" e mi sono voltato sperando di vederli tornare. Sono molto obbedienti. Torno, urlo, ma niente. Sento un guaito, vedo dei rovi muoversi, riconosco Fiamma che si è nascosta, vedo tanto sangue».
Il seguito del racconto è davvero straziante. Il cane recuperato dal padrone e portato a casa con tutte le sue forze, la richiesta di aiuto a un altro cacciatore incontrato lungo il percorso, la corsa alla clinica veterinaria insieme al figlio, mentre la moglie e la figlia cercano Argo e lo trovano ormai senza vita lungo il sentiero, incastrato tra due alberi. In clinica potrà solo essere accertato il decesso della bestiola. Anche Fiamma nel pomeriggio smetterà di lottare, nonostante le cure disperate. I proiettili delle carabine da caccia sono fatti per non lasciare scampo. Esplodono e lacerano. Purtroppo aveva riportato lesioni troppo gravi. Le dottoresse della VET24 non sono riuscite a salvarla.
«COLPITI SUL FIANCO DA DISTANZA RAVVICINATA»
«Secondo il veterinario i colpi sono stati esplosi da sette o otto metri. Meno di dieci. Erano feriti sul dorso di lato. Non stavano sicuramente attaccando. È stato come sparare a due bersagli mobili a distanza ravvicinata con una carabina in un punto di alta visibilità del sentiero».
Questa la prima ricostruzione di ciò che deve essere accaduto. Maurizio Barale la ipotizza ma non riesce a spiegarsi il perché. Il cacciatore non lo ha detto. Ora si occupano della vicenda i Carabinieri di Perrero: «Siamo andati in caserma per esporre i fatti. Sono stati ineccepibili, molto professionali. Il maresciallo ha subito richiamato in carabiniere che era in riposo ed è venuto da noi ieri mattina per vedere il posto e fare le sue domande».
CERCARE UN SENSO
Siamo davvero sconvolti, ma cerchiamo di ricomporci e di dare un senso a quanto è successo. Non è possibile che ci sia questo pericolo a due passi da casa. C'è un'attività pericolosissima, con l'uso di armi di potenza inaudita nelle mani di un uomo che può compiere un errore, volontario o no. Su questa cosa dobbiamo riflettere. Limitare l'uso di queste armi è veramente uno sforzo di civiltà. In quel momento poteva succedere di tutto. Credo di essere stato un incosciente ad affrontare quell'uomo».
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Paola Molino