Ucraina: verso la guerra e ritorno - Giorno 2
«Le persone hanno risposto a centinaia. Hanno un cuore grande». Lei è Natalia, è originaria di una città dell’Ovest dell’Ucraina che si chiama Chernivtsi. L’ho incontrata da qualche parte sull’autostrada Torino Venezia. Il suo furgone aveva stampato una carta della Svizzera colorata per metà con la bandiera svizzera e per metà con quella ucraina, e sopra la scritta "Send Help". Vive nel Canton Ticino. «Abbiamo lanciato una raccolta di medicinali sui Social e non ci aspettavamo una risposta così grande. In pochi giorni abbiamo riempito quattro furgoni di medicinali e altri beni di prima necessità. Il giorno prima di partire abbiamo dovuto cercarne altri tre. E abbiamo comunque lasciato a casa molto materiale».
La cifra di questo secondo giorno di viaggio è senz'altro la solidarietà. Quella dei grandi gesti, come una carovana di sette pulmini che si mette in viaggio. Ma anche quella delle piccole cose. A guidare verso est mercoledì mattina ho la sensazione che l'Ucraina sia un mare nel quale si riversano tanti piccoli rii, e io sono uno di loro.
Sono decine e decine le auto o i furgoni con su una scritta come quella di Natalia, oppure una bandiera ucraina piantata sul cruscotto. Ogni volta che vedo un furgoncino carico di scatole e pacchi, non posso fare a meno di pensare che siano aiuti per il paese in guerra. E questa sensazione cresce chilometro dopo chilometro fino alla Polonia, dove in autostrada i tabelloni luminosi hanno bandiera gialla e blu e la scritta "Solidarietà al popolo ucraino". A Cracovia lungo tutta la circonvallazione i tabelloni riportano un numero di telefono da chiamare per dare il proprio aiuto.
E i polacchi hanno risposto a centinaia di migliaia. Appena è scoppiata la guerra gli abitanti di Cracovia hanno aperto le loro case per ospitare chi ne avesse bisogno e da tutto il paese sono partiti furgoni e camper verso i luoghi di arrivo dei profughi a ridosso delle frontiere. Mentre attraverso l’Europa i profughi hanno raggiunto le 800mila persone e l’UNHCR si aspetta di arrivare a 4 milioni.
Tanti piccoli torrenti che corrono fino al mare. Alla frontiera di Medyka, una delle maggiori, giovedì per tutto il giorno c'è stata una grande coda di automobili. Non in uscita dall'Ucraina: Ljuba, una donna che è arrivata in Polonia con il figlio di 14 anni, ha impiegato soltanto un'ora. La coda era in ingresso: centinaia di mezzi cercavano di entrare con i loro carichi di medicinali, coperte, vestiti, cibo, ogni genere di aiuto. Per tutto il giorno ricevo messaggi di chi ha deciso di mettere a disposizione, in Italia, qualche posto letto per chi in questi giorni sta uscendo dal paese, o ha deciso di fare qualcosa per aiutare.
Uno di loro è Antonio, un architetto di Saluzzo che all’inizio di questa settimana stava per partire per una settimana bianca con gli amici a Chamonix. All’ultimo momento non se l’è sentita di farlo mentre in Europa milioni di persone stavano soffrendo. Ha chiesto in prestito un rimorchio da attaccare alla sua auto e con quello si è rivolto all’associazione Memoria Viva, di cui aveva sentito parlare in TV. Mercoledì pomeriggio si è messo in viaggio con un carico di aiuti diretto a Jaroslaw, a 40 km dalla frontiera, dove lo aspettava un centro di prima accoglienza. Al ritorno, in queste ore, sta accompagnando in Italia una famiglia di quattro persone che ha trovato lui grazie ad Anna e alle altre suore salesiane di Przemysl.
Il mio contatto a Leopoli, Mykhailo, è irraggiungibile per quasi tutto il giorno. È lui che deve darmi il numero di telefono di una persona, in Polonia, a cui consegnare i medicinali. Questa persona passerà la frontiera e li darà a Mykhailo, che sa cosa farne. È irraggiungibile perché martedì è partito in piena notte con un carico di medicinali da far avere ai soldati e ai civili della resistenza di Kiev.[continua]
Mattia Bianco è un giornalista de L'Eco del Chisone, scrive di Economia, Spettacoli e Cronaca. Appassionato di montagna, è accompagnatore naturalistico, collabora con riviste specializzate ed è autore di due guide di trekking. Ha 34 anni, vive in un piccolo paese della Valle Po ed è sposato con Halyna, originaria di Chervonograd vicino a Leopoli. Si è messo in viaggio mercoledì mattina per portare in Italia un'amica di famiglia con i due bambini. L'idea di riempire l'auto di medicinali da far arrivare ai soldati e ai civili che stanno resistendo nelle città sotto attacco, e coperte e abiti caldi per i bambini e le donne che affollano i centri profughi polacchi, si è trasformata in un'ondata di solidarietà.
Vogliamo offrire un giornalismo che sia presidio di cittadinanza e di democrazia, forza trainante per il territorio, strumento per comprendere cosa succede nella nostra società e nel mondo.
Paola Molino