La provincia "Granda" non è così virtuosa

Noi, che abitiamo a due passi dalla Granda - la provincia di Cuneo, identificabile soprattutto con il capoluogo e l'Albese - siamo spesso spettatori, un po' invidiosi, di quel territorio. Ci sembra che laggiù - ad un'ora da Pinerolo - si viva in un'altra Repubblica. Imprenditori attenti, una classe politica conservatrice ma - sostengono molti - anche illuminata. Le tensioni sociali sono plasmate in modo tale da non creare trambusti. Una (molto) pacata vita culturale, nessun sussulto in quei luoghi ameni caratterizzati da boschi, faggeti, funghi e trifole e da eccellenze di valore mondiale come la Ferrero, Mondo, la Miroglio e i rigogliosi vigneti.
Poi, sgatta sgatta, e ti accorgi che non è proprio una provincia così virtuosa anche se l'euro circola più abbondante che altrove.
Noi parliamo spesso del Sud e dei suoi difetti atavici. Ma il Nord non ne è esente.
Due mesi fa, a proposito dei tagli all'economia e della "casta" politica, accennavamo alla piccola Valle d'Aosta, dove il denaro, grazie ai contributi dello Stato italiano (trattandosi di una Regione a statuto speciale) circola più abbondante che altrove. In altre parole anche la Valle d'Aosta - ma giornali e tv a livello nazionale di questo fenomeno tacciono omertosamente - non è proprio il più calzante esempio di virtuosismo.
Ma torniamo alla "Granda", che pure beneficia a piene mani di una ricca Fondazione come la Cassa di risparmio di Cuneo (poi ci sono altre Fondazioni minori), che distribuisce a iosa soldi e contributi. Per il 150º dell'Unità d'Italia, non vuoi organizzare un grande evento con il "Conte Cavour e le Langhe" in primo piano? Eccoti 150mila euro, 44mila per "Scrittori in città". E come negarne 68mila per la "Fiera del marrone" o 36mila per una mostra della Prefettura?
Proprio questa "Granda" che ha espresso la "crema" dei condannati per il traffico delle quote latte e che da improvvido spirito imprenditoriale, smentendo così tanti luoghi comuni, finora s'è mangiata un sacco di milioni con il suo micro-aeroporto di Levaldigi.
Da quando è stato effettuato il primo volo - era il 20 marzo del 1988 -, secondo un'ampia documentazione de "La Stampa" fino al 2006 era già costato ai cuneesi 46 milioni di euro. Quasi 100 euro per ogni residente.
E le cose da anni non migliorano affatto. Insomma, un aeroporto mangiasoldi (l'ultimo bilancio si è chiuso con una perdita di quasi due milioni). Come se con i soldi pubblici - perché i soci sono prevalentemente Comuni, la Provincia, le Camere di commercio, ecc. - nel 2010 avessero contribuito con 10 euro per ogni passeggero partito o arrivato a Levaldigi. Ed il salasso continua. Anche se l'ex-assessore regionale, il cuneese Borioli, dichiarò quattro anni fa, tutto gongolante, «che l'aeroporto è una risorsa unica per il nostro territorio ed il suo sviluppo». I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Dieci anni fa la Geac - la Spa che gestisce Levaldigi - disse che aveva un asso nella manica. Non sappiamo di che asso si trattasse. Una cosa è certa: a fine ottobre i voli in partenza da Levaldigi saranno 21. Non al giorno. Alla settimana. Malcontati trecento passeggeri al giorno. La metà di coloro che giornalmente partono in treno da Torre Pellice, che già è una linea (ferroviaria) a bassa frequenza. Ma certo con costi più contenuti.
Insomma, una "Granda" che è anche brava a spararle grosse, ma con costi conseguenti che ricadono su Provincia, Comuni e Regione.

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Paola Molino