Facebook, la vita in piazza

The right to be let alone, cioè il diritto di essere lasciati in pace. È la definizione di privacy attribuita al giurista statunitense che, per primo, la concepì sul piano legale. Era il 1890.
Per avere una legge organica in materia, l'Italia ha dovuto aspettare il 1996. Una conquista in divenire, quella del diritto alla riservatezza, se tutt'oggi lottiamo contro le comunicazioni indesiderate che ci tormentano via telefono (se non siamo iscritti al Registro delle opposizioni) o tramite e-mail.
Oggi, alla privacy, ci si appella anche a sproposito, con effetti comici. Come il delinquente che non vuol far sapere in giro di essere stato condannato (ma guarda). O l'impiegata del Comune che non vuol trasmettere l'elenco dei candidati alle Elezioni amministrative: «Non so se desiderano che sia reso noto» (quando si dice lo scrupolo).
Ma il problema è reale. Occorre davvero uno strumento per arginare il politico che, per mandarti una "pelosa" lettera d'auguri, compra la tua data di nascita (insieme a quella di tutti i suoi potenziali elettori). Urge una presa di coscienza, da parte di chi informa, su quanto è davvero utile ai lettori e quanto invece è mero pettegolezzo (senza per questo intaccare il sacrosanto - e necessario - diritto di cronaca). Soprattutto, è indispensabile trovare strumenti tecnologici e legali per impedire che - via Internet - si possano carpire informazioni private per finalità commerciali (per non dire di quelle truffaldine).
Ed è qui che casca la privacy. Perché - per una Giulia C. che invoca protezione quando racconta a un giornalista a caccia di "colore" il rapporto con il suo cane («Non metta il nome per esteso. Sa, la riservatezza!») - ci sono almeno due persone, con nome, cognome e volto, disposte a raccontare tutto di sé. Nelle trasmissioni tv dove si svendono tragedie e sentimenti. E, a maggior ragione, attraverso i social network. Su Twitter o su Facebook molte persone stanno aprendo il loro cuore: in poche righe descrivono le proprie emozioni, raccontano dubbi e disavventure, definiscono il proprio intimo. Per alcuni è una positiva presa di coscienza di sé. Per altri è un inconcepibile "mettere in piazza" (una piazza virtuale, ma per questo ancor più popolata) gli affari propri. Sui social network si sono consumate terribili sciagure, personali e familiari: cadenzate a colpi di messaggi e commenti, magari in un profilo "aperto", alla mercé di chicchessia.
Intendiamoci: la privacy è un diritto, mica un dovere. Tuttavia, un po' di rispetto per sé stessi non guasterebbe.

Informazione al servizio della comunità e per essere comunità, da sempre questo è lo stile inconfondibile de L'Eco del Chisone: con l'emergenza Coronavirus, ora più che mai, lo sentiamo come un dovere non solo nei confronti dei nostri lettori, ma di tutti i cittadini. Perché solo insieme ce la faremo.
Paola Molino