Sforzo di comprensione tra industria e sindacati

L'anno 2010 si è chiuso, sotto il profilo delle relazioni sindacali, con un duplice accordo tra la Fiat da un lato e la maggioranza delle organizzazioni dei lavoratori dall'altro, riguardante gli stabilimenti di Pomigliano e di Mirafiori. Sono due accordi che lasciano il segno, non solo e non tanto per la spaccatura tra Fiom/Cgil e gli altri sindacati capitanati da Cisl e Uil, cosa già accaduta in passato, ma dal fatto che essi rappresentano una svolta nella filosofia che guida i rapporti tra controparti nel mondo del lavoro. Si passa dalla pura contrapposizione di interessi, e quindi da un sistema basato sulla lotta, ad una discussione aperta e ad una contrattazione di principi gestionali, che costituisce un primo approccio verso una forma di partecipazione.
Negli ultimi anni del secolo scorso era prevalsa l'idea che nei Paesi occidentali la ricchezza fosse assicurata dall'affermarsi dell'economia basata sul terziario avanzato. L'elettronica, le telecomunicazioni, l'informatica e la finanza avrebbero garantito il continuo miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. È bastata una crisi messa in moto dal crollo della finanza speculativa per evidenziare che senza la produzione di beni non solo non si può progredire, ma si rischia di non poter vivere.
Nella sostanza ed in estrema sintesi con i due accordi la Fiat si impegna ad investire in Italia, riportando produzioni per mantenere ed aumentare i posti di lavoro, migliorando altresì le condizioni economiche, mentre i lavoratori si impegnano ad una maggiore flessibilità nell'organizzazione del lavoro ed a garantire il rispetto degli impegni da parte di tutti, anche dei dissenzienti, per tutta la durata degli accordi sottoscritti. Quest'ultima condizione e l'esigenza di derogare dal contratto collettivo nazionale dell'industria metalmeccanica vengono lette dalla Fiom/Cgil come una limitazione della libertà ed una violazione dei diritti costituzionali. La mancata firma degli accordi comporta inoltre l'esclusione della Cgil dalla rappresentanza sindacale sulla base di un protocollo di intesa del 1993, nato da un'iniziativa di Cgil, Cisl, Uil, per escludere i Cobas.
Sono note le due posizioni sindacali: da una parte si grida al "ricatto" dell'azienda (o si firma o gli investimenti si fanno altrove), dall'altra si sottolinea che si garantisce maggiore occupazione per oggi e per il futuro, e si aumentano i salari. Mi pare che tutte le parti in causa intendano risolvere la questione della rappresentanza, se necessario anche con un intervento legislativo.
Si tratta di valutare se in materia sindacale valga il principio cardine della democrazia, per cui la volontà della maggioranza impegna tutti, o se la parte dissenziente, anche se minoritaria, abbia comunque una sorta di diritto di veto, e possa ostacolare con qualsiasi mezzo l'adempimento degli obblighi sottoscritti. Tenuto conto delle mutate condizioni delle economie produttive nel mondo industriale, è probabilmente giunto il momento di pensare ad una nuova fase delle relazioni industriali con la creazione di un contratto quadro valido per tutta l'industria, che definisca diritti e doveri dei contraenti e stabilisca le norme base valide per tutti, lasciando ai contratti di categoria, o di settore produttivo, di fissare le norme specifiche più adatte a gestire le situazioni tipiche di ciascuna filiera.
Per poter ribaltare l'attuale critica situazione economica e occupazionale occorre uno sforzo di comprensione tra Industria e Organizzazioni sindacali al fine di realizzare un patto innovativo, più partecipativo e non solo conflittuale, tra due fattori della produzione, attivi e indipendenti. Le parti in causa sono concorrenti nella ripartizione del risultato, il valore aggiunto della produzione, e pertanto, proprio per questo motivo, hanno il comune interesse che la produzione aumenti in quantità e produca il miglior risultato possibile.

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Paola Molino