Berlusconismo in crisi così come il bipolarismo

Il doppio voto di fiducia ha lasciato il Governo e la legislatura nell’incertezza. La fiducia di Montecitorio ha dimostrato che senza i voti di Fini, il Governo Berlusconi non ha la maggioranza necessaria per fare le riforme ritenute essenziali: lo "scudo" per i processi contro il Cavaliere ed il federalismo fiscale che Bossi ha promesso al Nord. Ma la fiducia di Palazzo Madama ha dimostrato che in questa legislatura non c’è spazio per un altro Governo. Dopo Berlusconi ci sono le elezioni. E tuttavia subito dopo il voto di fiducia è riesplosa la polemica.
È sempre più evidente che l’Italia non sta attraversando una crisi "di governo" ma una crisi "di sistema". Insieme al berlusconismo è in difficoltà il bipolarismo all’italiana: le coalizioni costruite sull’uninominale-maggioritario si stanno disgregando e si è disgregata la maggioranza prodotta dal "porcellum", quella numericamente più forte nella storia della Repubblica. E questo fenomeno sta colpendo anche i Comuni, poiché un sistema elettorale costruito sulla "personalizzazione" della politica non può sostituire un'intesa costruita su un progetto politico; ed anche le maggioranze formate a sostegno di una candidatura (a premier od a sindaco), rischiano di naufragare contro gli scogli del trasformismo. In realtà, i limiti delle coalizioni che non hanno radici politiche, erano emersi anche a sinistra: l’Unione guidata da Prodi aveva vinto le elezioni contro la destra, ma era risultata incapace di governare. Questa contraddizione aveva costretto Prodi alle dimissioni; ma dopo di lui anche Veltroni, il leader del "partito a vocazione maggioritaria" che aveva rotto l’alleanza con la sinistra radicale, è stato costretto all’abbandono.
Dopo il voto di fiducia di fine settembre, la corsa ad ostacoli è diventata più difficile sia per la maggioranza di governo che per le opposizioni. Il Popolo della libertà appare sempre più condizionato dalla Lega Nord, ma dovrà fare i conti anche con Futuro e libertà, la "terza gamba" della coalizione, nata contro l’arroganza del Padrone del Pdl ma anche (e forse più) in competizione con la Lega. Sino a quando non sarà sciolto il nodo giustizia, anche il federalismo segnerà il passo. E questo fatto spiega, più di ogni altro ragionamento, l’irritazione di Bossi verso Fini e la minaccia di elezioni anticipate. La Lega spera che uno scontro elettorale consegni la maggioranza della Padania alla Lega e metta fuori gioco la destra nazionalista.
I sondaggi dicono che il Popolo della libertà sta perdendo consensi, ma dicono anche che l’opposizione non è in grado di mettere in campo una reale alternativa riformista, mentre sta dilagando la tentazione dell’astensionismo. Così si allarga il solco tra la gente e le istituzioni, così la democrazia affonda in una palude e si diffonde l’anti-politica. Cresce il numero di chi ritiene necessaria una riforma elettorale che rimetta al centro del confronto politico il Parlamento, al fine di rispondere alle sollecitazioni del mondo cattolico e di molte associazioni professionali che sollecitano un profondo rinnovamento della politica.
Ma serve a poco essere d’accordo sulla critica al sistema, se il confronto non si conclude con una proposta condivisa da una nuova maggioranza. E su questo punto ci sono differenze tra maggioritari e proporzionalisti, tra il Pd ed i centristi che stanno lavorando per il "terzo polo", ma anche tra le diverse componenti del Pd.
Sino a quando non sarà sciolto questo nodo, le divisioni dell’opposizione resteranno il principale punto di forza di una destra che, per quanto è dipeso da lei, si è dimostrata incapace di governare il Paese.

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Paola Molino