Questa Europa con il fiato grosso

I conti in disordine

Sono trascorsi quasi due anni dallo scoppio della crisi finanziaria che ha destabilizzato il sistema bancario americano ed europeo ed ha avuto conseguenze gravissime  sull'economia mondiale. La situazione sembrava avviata ad un miglioramento, sia pure lento, ma tangibile soprattutto per il sistema industriale dei vari Paesi che presenta nel primo trimestre 2010 indicatori in crescita, in particolare per l'esportazione. Tuttavia è bastato che la Grecia evidenziasse le proprie difficoltà, per  far emergere nuovamente la precarietà delle finanze statali.
In effetti la necessità di stabilizzare e di rilanciare il sistema economico in crisi ha richiesto a tutti i Paesi europei di mettere mano al portafoglio per finanziare in qualche modo gli investimenti in attività produttive e per aiutare persone e famiglie colpite dalla crisi occupazionale, con sistemi diversi: cassa integrazione, sussidi ai redditi minimi, ecc. Con questi interventi i deficit di tutti i Paesi hanno registrato un aumento considerevole, aggravando una situazione già in molti casi ai limiti della sopportabilità.
Si scopre così che non solo la Spagna, dove la disoccupazione si avvicina al 20 per cento e il Portogallo,  ma anche l'Italia, la Francia e la stessa Germania, sempre indicata come il Paese di massima solidità, devono ricorrere a provvedimenti straordinari per rimettere in ordine i propri conti. L'idea che gli Stati possano sopportare in perpetuo bilanci con spese superiori alle entrate, sembra difficile da comprendere. Significa aumentare il debito pubblico e quindi addossare alle generazioni future il costo dei rimborsi.
Il ragionamento era: «Il progresso tecnologico e le nuove scoperte sono in grado di garantire una crescita economica consistente e continuativa, con qualche periodo di crisi, sempre però seguito da una maggiore espansione». È nata così la finanza allegra degli Stati sovrani, non più attenti alle effettive risorse disponibili da utilizzare e distribuire per la crescita umana della società, delle persone e delle famiglie.
Si sono moltiplicati organismi rappresentativi, costosi e produttori di altre spese, si è dato vita ad un sistema di protezione sociale, lodevole nei principi, ma anche fonte di privilegi insostenibili ed ingiusti, si è curato poco il controllo della spesa pubblica con scarso beneficio per l'efficienza dei servizi ed una crescita non giustificata dei costi. Poi si sono costruite strutture rimaste vuote e comunque prive di utilità o se ne sono costruite di nuove invece di recuperare quelle esistenti inutilizzate, sono stati largamente finanziati i partiti e molti enti inutili sono stati mantenuti in vita.
Si nota tuttavia che il sistema delle famiglie e delle imprese manifesta una resistenza di fondo ed una capacità di reazione molto maggiore di quella dimostrata dagli Stati sovrani. La crisi infatti è degli Stati, che hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità. È giunto il momento di rivedere i comportamenti cercando di utilizzare meglio e senza sprechi le risorse disponibili, prendendo coscienza del fatto che tutti debbono equamente partecipare al risanamento. Facile a dirsi, difficile da fare e da far accettare. In effetti quando da una parte o dall'altra si formulano proposte di riduzioni della spesa la risposta più frequente è «non è questo il problema, si dovrebbe piuttosto rivedere…». I tagli sono sempre da fare nell'orto del vicino.
Esiste in tutti i Paesi, forse in Italia più che altrove, il problema dell'evasione fiscale, che non è tanto facile da scovare, specialmente quando si tratta di evasioni minori, ma numerose, che,  se sommate formano una cifra importante. È una questione con una duplice valenza: di sottrazione di risorse allo Stato, di palese ingiustizia sociale.
Sapranno gli Stati mettere ordine nei loro conti permettendo così alla parte viva e produttiva della società di riprendere il cammino dello sviluppo?

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Paola Molino