Il processo di Pragelato servirà a Berlusconi?

Da Pinerolo alla sentenza della Corte costituzionale

Altroché sopprimerlo come vorrebbe il ministro Alfano! Berlusconi e il suo Governo al Tribunale di Pinerolo dovrebbero fare un monumento. E non perché vanta risultati d'eccellenza, ma perché proprio qui è nata la vicenda che potrebbe permettere al premier di allungare i tempi di qualche suo processo. E proprio un giudice pinerolese ha sollevato la questione di legittimità su cui la Corte costituzionale si è espressa un mese fa.

Andiamo all'origine di quel processo che pareva senza storia e nessun futuro. Agosto 2006: a Chezal di Pragelato un piccolo imprenditore edile sta realizzando un box. Visti i lavori in corso i padri Somaschi gli chiedono (anche se la circostanza è negata dal superiore e dovrà essere accertata in giudizio) di dare una sistemata alla strada che conduce alla loro colonia. Un paio di camionate di terra, le buche sono riempite e il collegamento torna agevole.

Tutto sarebbe finito lì, se non fosse che l'imprevisto è sempre alle porte e questa volta prende le sembianze di una pietra che si mette a rotolare, per fermarsi solo nel bagno di una casa vicina. Non paga, sfonda pure la tazza del water. Da qui la segnalazione alla Forestale, che denuncia in Procura sia l'esecutore dei lavori (A.F.), sia i padri Somaschi proprietari del terreno (nella persona del superiore).

Entrambi chiedono ed ottengono dal Comune una concessione in sanatoria, grazie alla quale viene estinto il reato urbanistico (l'aver costruito senza permesso): l'unico inizialmente contestato. Nel frattempo però, ai sensi dell'art. 517 del Codice di procedura penale, si era aggiunta una nuova accusa: la violazione della normativa paesaggistica, essendo quella un'area sottoposta a vincolo paesistico.

E siamo al 17 luglio 2008: in quell'udienza gli avvocati Elisa Debernardi (per l'impresario) e Luciano Paciello (per i Somaschi) ottengono il proscioglimento dei loro assistiti in ordine al reato urbanistico, mentre per quello paesaggistico chiedono il rito abbreviato. Una richiesta che però la normativa non consentiva e che dunque il giudice Gianni Reynaud non poteva accogliere. Suo malgrado, visto che già nel lontano '97 sull'argomento aveva scritto un saggio dal titolo "Le modifiche dell'imputazione".

Reynaud prende la palla al balzo e il 18 settembre 2008 solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 517 «nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere il giudizio abbreviato relativamente al processo concernente il reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti d'indagine».

In sostanza si dice: i due reati erano già noti fin dall'inizio dell'indagine e il fatto che non siano stati da subito contestati non può andare a scapito delle difese, limitandone i diritti.

Il 14 dicembre scorso (sentenza 333) la Corte costituzionale dà ragione a Reynaud, dichiarando parzialmente illegittimo l'art. 517. Una decisione che offre nuove garanzie agli imputati e che farà scuola. Non certo per i piccoli protagonisti della vicenda di Chezal (che tornano in aula giovedì 4 marzo, ore 10), ma soprattutto per i tanti che ora potranno, pur tra i mille distinguo dei singoli casi, chiedere una tregua processuale per valutare l'eventualità di ricorrere all'abbreviato (che prevede vantaggiosi sconti di pena e consente l'appello). Tra questi Berlusconi, alle prese con il processo per i diritti televisivi di Mediaset. Il suo legale, Niccolò Ghedini, ha già colto al balzo la nuova opportunità e chiesto tempo. Ma questa volta gli è andata male e l'istanza è stata respinta.

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Paola Molino